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esercizi di respirazione

a volte ti senti come se anche no.
eppure sei ancora lì con le cose che non hai fatto e che non sei poi così convinto di voler fare.

e puff. e il cattivo gusto che non è più sufficiente a coprire il gusto della realtà. come fumare per non sentire il puzzo dell’aria inquinata.

e puff. e quel pò di cura che ha sempre meno senso.

e puff. e vedi come sarebbe facile lasciarsi andare.

e puff. e le piccole regole che ti sei dato perché avevi deciso di e non sai più perché.

e puff. e tanto sai che volendo anche no. ma solo quando deciderai di decidere.

e puff. e ti rendi conto di quanto sia futile. e dispersivo. che il tempo è poco e sarebbe meglio usarlo bene.

e puff. che quelle quattro incombenze che continui a non invece potresti.

e puff. e quelle cose che ti racconti ma nemmeno ci credi.

e puff. e lo sai quanto può essere importante e futile cambiare il movimento del camminare o il ritmo del respiro o incuriosirsi di qualcosa di nuovo. di quanto può darti l’impressione di cambiare l’incuriosirti di qualcosa di nuovo.

30/9: blasfemia, o meglio libertà di parola

sapevatelo, cè una recente risoluzione dell’ONU che "condanna la diffamazione delle religioni".

in lingua volgare, garantisce alle religioni l’immunità dalle critiche a cui è soggetta qualsiasi minchiata fatta dagli uomini. 

detto altrimenti, qualsiasi critica alle religioni consolidate è blasfemia, e in quanto tale potrà essere punita.

quindi le religioni riceveranno una protezione superiore a quella che spetta alle opinioni delle persone.

in risposta a questa deriva repressiva dell’ONU, è partita una campagna per la libertà di parola, anche a proposito delle religioni. e il 30 settembre è stato proclamato giornata internazionale della blasfemia

http://www.centerforinquiry.net/campaign_for_free_expression

http://www.blasphemyday.com/

http://www.slate.com/id/2212662/

http://richarddawkins.net/article,3660,Free-speech-is-sacred,Pat-Condell

aut politica aut elezione

la butta lì en passant, la maestrina sul pisello:

Se un insegnan­te vuol far politica deve uscire dalla scuola e farsi eleggere.

ovviamente il discorso vale per tutti: se vuoi fare politica non puoi agire sulla tua realtà quotidiana, devi farti eleggere.

perché secondo lei l’unico modo socialmente accettabile per agire sulla propria realtà è… aspettare il turno, pagare, compromettersi, perdere tempo…. in una parola, farsi eleggere. cioè, visto che un papino che ti nomina non ce l’hanno tutti, e di certo non gli insegnanti che vorrebbero fare bene il proprio lavoro a prescindere dalle farneticazioni del ministro di turno, quello che devi fare è perdere tempo, energie e buonumore, riconoscere il baraccone della rappresentanza, e non spostare di una virgola l’esistente. wow!

e attenzione che questa affermazione non è una delle cose che le preme di dire, un elemento del dibattito: è una frasetta che butta lì come premessa per lamentarsi dello scarso seguito di cui gode tra le maestranze. e lì stà la fregatura: se una frase stà nel capitolo "premesse" non vuol per forza dire che sia una banalità, anzi forse è l’affermazione più grave di tutta l’intervista.

siamo ancora alla retorica del differimento della soddisfazione: se non accetto lo stato di cose esistente, la mia pulsione è agire per cambiarlo in questo luogo e adesso. e quindi ignorare le direttive, rubare tempo, lavorare come sei convito che si debba fare, creare socialità e complicità con i colleghi, organizzarti.

S A B O T A R E

mica male la libertà di religione

da corriere.it:

«IL Diritto alla libertà religiosa prevale su quello alla privacy»

Spiava mail della moglie lesbica. «Lecito»

MILANO – Spulciare nella posta elettronica della propria moglie,
scoprire che lei è lesbica, e utilizzare quel dato, assieme a tante
missive private a lei indirizzate e appositamente fotocopiate, per
chiedere l’annullamento del matrimonio religioso davanti alla Sacra
Rota non costituisce violazione della privacy. Prevale, infatti, sul
diritto alla riservatezza «il diritto fondamentale di libertà
religiosa» che si esprime, in questo caso, nell’agire «in giudizio» e
«difendersi anche innanzi a un Tribunale ecclesiastico». Lo scrive il
giudice delle terza sezione penale del Tribunale di Milano, Giuseppe
Cernuto, nelle motivazioni della sentenza con la quale ha assolto
dall’accusa di trattamento illecito di dati personali sensibili un uomo
di 41 anni di Como, che aveva trovato nel 2003 nel pc una e-mail
indirizzata alla moglie da un’amica, dal tono inequivocabile e che
testimoniava il suo essere lesbica.

… continua

 

il discorso è semplice nella sua demenzialità:

  1. la democrazia borghese mi garantisce la libertà di religione (anche se una religione è più uguale delle altre)
  2. la mia religione (che incidentalmente è proprio quella più uguale delle
    altre) mi prescrive dei comportamenti che talvolta sono in contrasto
    con le leggi della suddetta democrazia borghese
  3. questi comportaenti non sono reato

E questo è uno degli ingredienti per una teocrazia. Da qui alle
pattuglie di chierichetti che frustano le donne troppo discinte ci
manca poco. (Quelli che menano gli omosessuali invece sono già attivi,
anche se non sono ancora stati riconosciuti innocenti per motivi
religiosi).

Come reagire a questa ulteriore degradazione della democrazia borghese?

  1. è da tanto che non credo alla democrazia borghese, niente di nuovo
  2. oh, ma questo non va bene! facciamo una campagna!
  3. uhm, quindi quello che è prescritto da una religione non è reato, interessante!

forse non ci resta che inventarci delle religioni più
divertenti, chessò a base di giustizia redistributiva, libertà
sessuale, rifiuto del lavoro, spazi sociali autogestiti, diritto al godimento…

e non sarebbe nemmeno quella gran novità, vi ricordate di Erba, la dose non è uguale per tutti rasta assolto?

[repost] Una splendida storia d’amore

da Femminismo a Sud: Una splendida storia d’amore

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& Storie violente
at 17:17 :: 點閱次數 (69)

Lei la
chiameremo Carmen. Ovviamente non è il suo vero nome. Ci ha scritto una
lunga lettera chiedendoci di correggerla e riscriverla se necessario
fino a che non riuscisse evidente l’esatta descrizione della
successione degli eventi e soprattutto delle emozioni, dei sentimenti
privati, che sono parte fondamentale di questa storia.

Quella
che leggerete è il risultato di un lavoro a più mani. E’ anche il
risultato della comprensione profonda di quanto è avvenuto, perchè non
è semplice veicolare le ferite altrui senza prima aver lasciato che il
dolore lasci sanguinare anche noi.

Descrivere
un dolore che appartiene ad un’altra senza trasferirvi letture
proiettive e personalizzazioni è veramente difficile. Quello che noi
facciamo è però certamente una scelta: raccontare le storie sempre
dalla parte delle donne. Storie complesse in cui il bianco e il nero
non esistono. Storie che ci restano attaccate addosso come se le
avessimo vissute personalmente. Storie che speriamo restino attaccate
addosso anche a voi perchè apriate gli occhi e riusciate a guardare la
vita di vostra sorella, vostra madre, vostra figlia o compagna con
strumenti di comprensione che vi permettono di percepire qualcosa in
più.

Perchè molto
spesso ci consoliamo del fatto che le donne che conosciamo non
subiscano violenze solo perchè noi non siamo in grado di vedere quello
che realmente accade. Accendete la mente e raffinate lo sguardo. Così
forse potremo salvare una vita in più. Un grazie immenso e un abbraccio
infinito a Carmen. Buona lettura!

>>>^^^<<< 

Volevo
dire, è cominciata che io avevo bisogno di qualcuno ed è arrivato lui.
Mi ha amata subito e io mi sono sentita bene. E’ bello essere amati.
Era una presenza assidua e mi riempiva di attenzioni e non ci feci caso
quando mi disse di andare a vivere insieme. Mi sembrò naturale, per
nulla imprudente. Avevo in mente di essere felice. Chi non ha un
obiettivo così?

Stare insieme non era per nulla complicato e mi
piaceva farmi coccolare. Poi venne il tempo in cui io dovetti
riprendere la mia vita. Amici, lavoro. Lui non era molto felice di
questo. Mi voleva tutta per sè, gli bastava stare con me, anzi stare
con me era il suo punto di forza.

Lo invitai dove possibile a
seguirmi e lui venne. Il suo umore peggiorava giusto quando il mio
migliorava. Invadeva le mie conversazioni, si frapponeva tra me e un
altro interlocutore. Poi chiedeva scusa. Cominciò così, senza che me ne
rendessi conto, a innalzare un muro tra me e il resto del mondo. Un
muro fatto di delizia, amore infinito e cura costante.

Provare
a spostare un mattone per respirare significava sorbirsi il suo muso e
i sensi di colpa. Lui così buono e io che provavo a evadere dalla
prigione dorata che aveva costruito attorno a me.

Gli piaceva
trovarmi a casa a tutte le ore. Gli piaceva adorarmi e poi prendersi
l’amore che gli era dovuto. Cominciai presto a odiare le sue mani e poi
il suo odore. Dio che pena riuscire a non urlare quando mi si
avvicinava. Le mani, la bocca e quel suo modo di scusarsi per il sesso
mal riuscito. Ho provato a spiegargli, non sapete quante volte, che mi
piaceva fare sesso respirando. Niente ossigeno, niente sesso.

Diventavo
ogni giorno più triste e cominciai a mangiare per calmare l’ansia. Se
diventavo brutta lui non mi avrebbe più voluta, mi avrebbe lasciata
libera. Invece mi voleva sempre e anzi più avevo difficoltà a vivere
più la sua sicurezza aumentava.

Premuroso, gentile,
incredibilmente buono era l’uomo più egoista che io avessi mai
conosciuto. Avrebbe preferito avere accanto una donna in punto di morte
pur di non sapermi viva, pur di non sentirsi in preda alle sue paure,
alla sua insicurezza. La paura di perdermi. Se ero brutta chi mai mi
avrebbe voluta?

Ingrassare non servì a niente. Lui mi toccava e
sentivo il peso del suo costante ricatto mentre provavo a restare ferma
nell’angolo più estremo del letto, quasi senza respirare.Non mi
toccare. Non mi toccare. Invece lui allungava la mano. Io gli dicevo di
no e lui riusciva ad intrappolarmi ancora nel mio senso di colpa.

Fu
quando ebbi la prima conseguenza fisica dell’obesità che si rese conto
che mi stavo lasciando morire. Fu allora che riuscii a dirgli che lui
non era buono, altruista, gentile. Era solo una persona insensibile e
priva di empatia che per stare bene con se stesso aveva chiuso a chiave
la sua donna.

Io non lo so com’è la vita di una donna che viene
picchiata dal suo uomo. Il mio compagno non l’ha mai fatto ma ho come
l’impressione che se l’avesse fatto io avrei avuto una ragione sociale
accettabile per andarmene. Chi mai avrebbe creduto al mio malessere.
Chi avrebbe capito la mia sofferenza accanto un uomo che lavava i
piatti e mi rimboccava le coperte. Mia madre non faceva che dirmelo:
quanto sei fortunata, hai trovato un uomo d’oro, un santo. Allora
perché io avevo solo voglia di morire?

Superai la soglia dei 140
chili e quasi non riuscivo più a camminare. Il mio compagno fu bravo a
individuare la patologia e a indicarmi il medico giusto. Com’era
efficiente quando si trattava di non assumersi le sue responsabilità.
Meglio attribuirle ad una patologia. Poverina io che ero malata e lui,
il sant’uomo, che veniva persino a fare i colloqui con me per dire al
mio dottore quanto lui stava facendo, che tipo di consigli mi dava,
com’era presente.

Non riuscivo ad agire il mio rapporto e non
riuscivo ad essere protagonista neppure della mia malattia. Per niente
utile. Per niente considerata io, oramai, in casa ero solo la malata.
Lui confabulava al telefono con mia madre e lei si raccomandava di
tenermi d’occhio.

Il mio percorso clinico prevedeva alcune sedute
di psicoterapia. Ci volle del tempo ma, nonostante l’assenza di
sensibilità dello psicoterapeuta, il quale parlava di "pensieri
distorti" mentre raccontavo della mia vita di coppia (sei tu che vuoi vederla così!!! Io???),
nonostante il suo autoritarismo, l’imposizione di farmaci che non
volevo prendere, alla fine mi convinsi che dovevo ricominciare a vivere
per me stessa.

La dietologa mi assegnò una dieta e dovetti
impegnare tutta la forza che avevo in corpo per perdere i primi chili.
Accompagnavo la dieta a degli esercizi e presto cominciai a sentirmi
più agile e ripresi persino ad uscire per vedere qualcuno. Pretesi di
farlo da sola dicendo al mio compagno che certo lui avrebbe capito che
si trattava del mio momento. Solo facendogli apparire nobili i suoi
gesti riuscivo ad ottenere qualche concessione.Di ritorno a casa però
voleva gratitudine e dovevo mostrargli di apprezzare il suo desiderio.
Lui voleva assicurarsi che quel corpo fosse ancora suo.

Più
avanzava la terapia e più aumentava la mia autostima e se aumentava la
mia autostima diminuiva la sua. Come una bilancia squilibrata. Prese a
impormi i suoi pessimi stati d’animo, i suoi cambiamenti d’umore. Lui
non era mai felice se io ero felice. Lui stava bene solo quando io non
esistevo. Cercò di vincere in tutti i modi la mia forza di volontà e
stava in cucina a pastrocchiare con pietanze di vario tipo, la casa
piena di odori e lui ogni volta a chiedermi se volevo assaggiare
qualcosa. Poi fu la volta dei dolci. Ne portava in continuazione e la
mia volontà vacillava.

La prima volta che caddi nel tranello mi
sentii in colpa per giorni e giorni. Seguirono numerose abbuffate e lui
improvvisamente tornò a sorridere. Mi faceva ammalare per poi curarmi,
sentirsi necessario, assicurarsi un ruolo di custode, anzi di gestione
del mio corpo e della mia vita. Mi consolava, chiedeva se stavo bene e
avrei voluto urlargli di no, che stavo malissimo.

Durò tre anni.
Alti e bassi in cui lui mi perdeva e si riaffrettava a ricostruire la
prigione. Io buttavo giù il muro e lui aggiungeva mattoni su mattoni.
Si rese conto, mi chiese scusa ma continuava a farlo. Dicevo a me
stessa che gli uomini che chiedono scusa dopo averti picchiato dovevano
essere pressappoco dello stesso tipo.

Ci vuole un tempo infinito
per capire di essere oggetto di violenza psicologica e ci si sente in
trappola perché è una violenza che percepisci solo tu. Impossibile da
raccontare. Cosa avrei dovuto dire? Scusi sa, il mio uomo non mi
permette di fare nulla in casa e mi porta un sacco di dolci? Sai le
risate. Non mi aveva creduto neppure lo psicoterapeuta, figuriamoci gli
altri. Molto più semplice etichettarmi come malata, una da assistere,
priva di capacità di leggere le proprie sensazioni, piuttosto che come
individuo che aveva bisogno di non dubitare di sè e di riappropriarsi
della voglia di vivere e della capacità di reagire.

Era davvero
troppo difficile spiegare come mi sentivo, che ero solo uno dei punti
in programma della giornata che il mio uomo teneva sotto controllo. Lui
teneva tutto sotto controllo. Il suo sguardo fisso, qualunque cosa
facessi per sentirmi autonoma, lui arrivava a correggermi. Troppa
schiuma sui piatti, troppo ammorbidente sui panni, troppo detersivo per
lavare il cesso.Non avevo voce in capitolo su nulla. Io non contavo
nulla. I miei pareri lo annoiavano. La mia opinione lo indispettiva.
Mai mostrare di saper fare qualcosa indipendentemente da lui. Mai
mostrarmi sicura davanti a lui. Era una cosa da non fare.

Mi
venne in soccorso il gruppo incontrato a fisioterapia e fu lì che
scoprii che non ero l’unica ad essere intrappolata in un rapporto
pericoloso prima ancora che nel mio corpo. Tante altre avevano lo
stesso problema. Ingrassare per non morire, scoprendo poi che si
trattava invece di un lento suicidio.

Una di loro mi ha
presentato un’amica e quella mi ha presentato un’altra amica che mi
offrì ospitalità. “Devi andartene!” – mi disse. Presi il necessario e
scappai via, prima che lui tornasse. Prima che mi intrappolasse con i
sensi di colpa, e ti amo, e non ti voglio perdere, e dopo tutto quello
che ho fatto per te, e altre cose del genere. Non avrebbe mai capito
che per guarire da una malattia bisognava stare lontane dalle cause che
l’hanno generata.

Mi stava uccidendo lentamente e io non avevo
casa né lavoro. Nonostante i titoli di studio e la preparazione nessuno
voleva assumere una che pesava più di un quintale. L’amica che mi ha
ospitato mi offrì un letto piccolo che non potrò mai dimenticare. Era
così piccolo che avevo paura di cadere. Fu in quel letto che
riassaporai la serenità di un buon sonno. La mia stanza, uno
sgabuzzino. Riuscivo a muovermi a malapena. Lei non mi chiese un soldo.
La aiutavo con suo figlio e tenevo in ordine la casa.

In poco
tempo riacquistai il piacere di sentirmi sicura delle mie azioni. Ero
in grado di organizzarmi e organizzare la vita di un bambino. Come
rideva mentre gli leggevo le favole. La mia amica nel frattempo si dava
da fare per aiutarmi a trovare un lavoro. Ne trovai uno semplice, in
mancanza d’altro finii con il prendermi cura di una signora anziana che
stava nello stesso palazzo. E’ uno strano destino quello che mette le
donne le une al servizio delle altre. Come se non avessimo nessuna
alternativa a parte quella di soccorrerci a vicenda.

Non
guadagnavo molto ma questo mi consentiva di pagare una piccola quota
dell’affitto e di dare una mano alla donna che mi aveva preso in casa.
Non dissi al mio ex dov’ero. Non glielo dissi per parecchio tempo. Lui
si diceva preoccupato. Disse che avrebbe chiamato i medici per un
ricovero coatto. Poi si mostrò per quello che era. Piangeva al
telefono. Mi pregava di tornare, che non poteva fare a meno di me. Lo
chiamai solo una volta per dirgli che non aveva alcun bisogno di me.
Mentre io c’ero lui non mi vedeva neanche. Non aveva mai visto niente
di me. Ero assolutamente invisibile. Lui continuava a vedere solo se
stesso, i suoi bisogni, il suo dolore. Del mio bene non gli interessava
nulla.

Vivo ancora a casa della mia amica, oramai una sorella,
suo figlio è cresciuto e io occupo un letto diverso in una stanza
diversa. Fortuna ha voluto che almeno lei una casa ce l’avesse e me la
offrisse come rifugio. Se non fossimo assolutamente eterosessuali
potremmo dirci una coppia di fatto. Il nostro è stato un patto di mutuo
soccorso. Ora siamo praticamente una famiglia.

Ho ripreso a
guidare. Ho anche comprato una macchina. Piccola. Di più non potevo
permettermi. Nel mio lavoro sono diventata brava. C’è sempre qualche
anziana donna da assistere. Prima o poi anch’io e la mia amica avremo
bisogno di assistenza. Nessuno altrimenti si prenderà cura di noi.Non
sappiamo se a noi toccherà una pensione e viviamo nell’incertezza.

E’
questa la nostra misura. Quella di essere in grado di vivere nel caos e
nella precarietà. Il mio ex al nostro posto si sarebbe già tagliato le
vene.

L’ho rivisto infine. Ha trovato un’altra da accudire. Ha detto che sono felici, ma lo diceva anche di noi. Spero sia vero.

Quello
che so è che io sono viva. Sono viva e non è cosa da poco. Certo, se
non avessi trovato una amica, una casa e un lavoro avrei smesso di
vivere parecchio tempo fa. E se non avessi trovato questo blog non
avrei trovato la forza di raccontare questa storia.

Spero serva a qualcuna che ancora è intrappolata nella sua “splendida storia d’amore”.

—>>>Nell’immagine la cantante Beth Ditto,
giustamente orgogliosa del suo corpo. Non è importante essere più o
meno pesanti per stare bene con se stessi. L’importante è che sia una
condizione che si sceglie, piace e con la quale si sta bene. Altra cosa
è se il peso corrisponde ad un pessimo stato d’animo.

pazienza??? sensibilità???

L’Itaglia è quello strano paesotto in cui la sensibilità di certuni viene prima della libertà di espressione di tutti, mentre della sensibilità di certi altri non si è mai curato molto nessuno. E dove a questi certi altri, quando si lamentano dello stato di cose esistente a loro sfavorevole, viene suggerito di "avere pazienza", ovvero di differire nel tempo la soddisfazione del proprio bisogno, forse nella speranza che la situazioni muti spontanaemente in loro favore. Un pò come un pezzo di carne esposto all’aria "spontaneamente" genera delle mosche.

Da questa ennesima sana banalità, traggo una prima utile lezione di vita: nel dubbio, della propria sensibilità è meglio prendersi cura in prima persona e nel tempo presente. Alla peggio, rinunciando ed allontanandosi da persone, ambienti, luoghi e canali comunicativi che la urtano. Quando è possibile e sensato, lavorando per migliorare il proprio ambiente.

Capita – stavamo dicendo – che una religione sia storicamente considerata egemone in un certo territorio. ("religione" "egemonia" e "territorio" nella stessa frase: il discorso promette male!). Capita peraltro anche che questa presunta egemonia sia in realtà in sostanziale calo qualitativo e quantitativo, e questo nonostante le condizioni socio-economiche che invece favorirebbero la regressione al soprannaturale ed all’eteronomo.

Avviene allora che una minoranza, spregiativamente detta anche "zerovirgola" dai suoi detrattori, abbia scelto di non appartenere alla suddetta religione egemone (attenzione: "ha scelto di non appartenere" è diverso da "non ha scelto di appartenere". Le Parole Sono Importanti, e questo include l’ordine con cui vengono disposte).

Accade che costoro, per quanto accomunati da una definizione in negativo, e diversi tra loro sotto molto altri punti di vista, prendano coscienza della comune discriminazione a cui sono soggetti in quanto non appartenenti alla sedicente maggioranza religiosa, e decidano di associarsi per migliorare la propria situazione. Questo succede all’interno delle regole del gioco della democrazia formale. Quindi fondano una associazione, si fanno riconoscere, fanno comunicazione, cercano visibilità mediatica, contatti con le istituzioni, tentano di utilizzare il sistema legale per le proprie battaglie.

Si verifica che, in questo contesto, essi decidano di emulare l’iniziativa di una associazione omologa attiva in un altro paesotto, consistente nell’affittare spazi pubblicitari sugli autobus pubblici di una metropoli per dare visibilità e guadagnare riconoscimento pubblico alla propria visione del mondo, perché pare ci sia ancora bisogno di affermare ad alta voce che una persona priva di una fede religiosa non è per questo inferiore alle altre, e talvolta anche di discutere con persone che hanno opinioni opposte.

Succede però che in questo paesotto il formale rispetto dovuto alle regole del gioco della democrazia sia ritenuto meno inviolabile rispetto a quell’altro paesotto, e che di conseguenza una società che detiene di fatto il monopolio del mercato della pubblicità su mezzi di trasporto urbano rifiuti il messaggio pubblicitario in oggetto in quanto «[potrebbe] essere offensivo per gli appartenenti alle grandi religioni monoteiste». Il che si potrebbe tradurre con: «la tua opinione è legittima, tuttavia Tizio e Caio si sentono offesi dal solo fatto che qualcuno possa avere opinioni diverse dalle loro su questo tema, e questo perché in effetti non si tratta delle loro opinioni, ma di quelle di un loro "amico" molto importante, e noi non vogliamo certo offendere Tizio e Caio, percui non potrai usare i nostri servizi per esprimere la tua opinione».

Un modo di vederla è che si tratta di applicare una regola basilare di buona educazione: "non si parla male degli assenti". E in effetti – non si capisce bene perché – gli amici di Tizio e di Caio non si presentano mai a quelli che negano la loro esistenza (e questa è una signora tautologia, con tanto di cappello di piume), e in loro assenza non si può dire che non esistono, sarebbe tanto scortese!

Il gioco si fa ancora più complicato se si considera che l’amico di Tizio e quello di Caio non vanno sempre d’accordo: quando va bene sembrano dei lontani parenti che hanno litigato da chissà quanto e chissiricorda perché, ma certe volte arrivano a negare l’uno l’esistenza dell’altro (se qualcuno si chiedesse ancora qual’è l’utilità pratica della logica matematica…).

Insomma, finisce che i nostri atei associati prendono atto di non poter accedere al "libero mercato" delle inserzioni sugli autobus, e avendo anche raccolto dei soldi per questo scopo decidano di impegnarli con uno dei pochi operatori dell’informazione che opera in itaglia ma lavora come se fosse in un paese civile.

Buona mossa, se non per il fatto che in questo modo, data la composizione del pubblico della radio, si sfonderanno un gran numero di porte aperte ma non si otterrà quella comunicazione verso il grande pubblico che si stava cercando.

e noi intanto cheffamo? portiamo pazienza e cerchiamo di non essere troppo sensibili

donne siete merce difettosa

nel marasma di riquadri inutili che popolano corriere.it, mi cade l’occhio su un link che porta qua:
http://www.leiweb.it/bellezza/news-bellezza/09_g_difetti_da_star.shtml

il servizio marchettone è costituito da 15 coppie di immagini come queste due qui sotto: in una una "star" ritratta nella sua "vita privata", in modo da evidenziare i difetti della merce, nella successiva l’offerta di prodotti magnaccia che promettono di risolvere i suddetti difetti, rendendo quindi la merce di nuovo vendibile.

le immagini si commentano abbastanza da sé, ma se ce ne fosse bisogno:

  1. se la carrozzeria non è in buon ordine, ovvero se non assomigli alle ventenni di prima scelta fino ai 50-60 anni, sei merce avariata
  2. anche modelli in cui devi identificarti hanno difetti di carrozzeria, ed investono adeguatamente per risolverli. ergo, nessuno va bene per quello che è, tutte/i hanno bisogno di continue revisioni
  3. come persona sei intrinsecamente inadeguata se non spendi quello che c’è da spendere per la "bellezza". eventualmente rinuncia ai libri, indebitati, o dalla via per soldi, ma non farti mancare la crema anticellulite
  4. i "difetti" che presenti non sono l’effetto della naturale evoluzione di un corpo, ma vogliono dire che hai trascurato troppi tagliandi. ma non temere, al giusto prezzo tutto si può aggiustare.

mi sono volutamente astenuto dal nascondere i marchi pubblicizzati.

in diversi casi al difetto di carrozzeria si aggiunge anche quello di un umore evidentemente non stellare: non sei depressa perché la tua vita è una merda, sei depressa, ed eventualmente la tua vita è una merda, perché hai il doppio mento. quindi il cambiamento di cui ha bisogno la tua vita è…
una crema miracolosa!

se non vi sono bastate queste, qui c’è tutto l’album 

quanto avevano ragione le femministe che dicevano che tutte le donne sono belle!

ma saremo mica dei porci facisti?

con la pioggia, si sa, talvolta le fogne traboccano e si sente odore di merda. merda che è sempre stata li, solo che normalmente l’odore era coperto.

in questi tempi, si sa, talvolta emerge il fascismo latente degli itagliani. ad esempio quando si tratta di gestire la forza lavoro immigrata, di non riconoscere i diritti, di negare lo stato sociale, di reprimere sempre più strettamente qualsiasi manifestazione di dissenso.

e c’è chi lo spiega così:

Un po’ come il tema che scrive cristiano zena in ‘come dio comanda’: lui non lo consegna, perché è una apologia di hitler.

 

non mi soddisfa questa storia del tema che adesso viene consegnato. cioè, il fenomeno è vero, ma cosa c’è dietro?

gli
itagliani, ma anche molti altri cittadini del "primo mondo", hanno
sempre avuto una vena fascista e razzista, che per farla breve riconduco alla difesa
dei privilegi "coloniali". e quindi non hanno mai davvero digerito il
discorso sull’uguaglianza tra esseri umani.
anche perché se fosse
applicato con un minimo di coerenza ne deriverebbe una radicale
ridistribuzione delle risorse (tema caro ai cattocomunisti radicali di
una volta, di cui devo ammettere comincio a sentire la mancanza nelle
sere di pioggia).

e ormai questa non è più nemmeno una prerogativa
della destra. o se lo è, allora tutto il parlamento è di destra, anzi
fascista, e il resto sono sfumature.

e lo si vede anche meglio nel piccolo: se interiorizzi il fatto che tutte le
dinamiche della tua vita sono basate sul dominio o sull’obbedienza,
allora la disuguaglianza sociale è uno strumento come un’altro per
conquistare un poco più di dominio.
e
se qualcosa ti trattiene dall’usare questo strumento, è solo una
"moralità" imposta e non scelta, dispensata dall’altare o dal palco di
un comizio, e recepita almeno formalmente solo per timore
dell’esclusione sociale. che è solo un’altra forma di monopolio statale della violenza: se non stai nel gregge ti faccio terra bruciata intorno, e tu muori di isolamento senza nemmeno dover stare a rinchiuderti.

e quando le varie chiese bianche e rosse
che tenevano a freno i peggio istinti vanno in malora, o capita che siano costrette
a seguire un nano pelato di passaggio nella competizione al ribasso
morale, emerge la melma di una popolazione che da troppo tempo non fa
la fatica di pensare con la propria testa e di guadagnarsi un’etica
individuale.

cioè la chiesa (…il partito, il giornale di tendenza, l’esercito, il branco, la tivvù…) ha preso una funzione che l’essere umano era benissimo in grado di svolgere, cioè prendere delle decisioni prendendosene la responsabilità, ha fatto disimparare alle persone a svolgerla, ha fornito delle scorciatoie per vivere tranquilli senza responsabilità, tipo la confessione e le atrocità compiute "in nome di dio" (della disciplina di partito, di ordini ricevuti, …), e quindi ha alienato questa funzione dalle persone.

ora che l’intelletto collettivo ha perso la capacità di prendere decisioni etiche, una qualche chiesa è diventata indispensabile. è quesa la minaccia dietro la retorica della "crisi dei valori": guardate che vi abbiamo fatto ridiventare bestie incapaci di gestire i propri istinti, e solo noi possiamo tenervi a bada. se vi sganciate, rischiate il caos distruttivo.

e potrebbe anche essere vero. solo che omettono un piccolo particolare: questo bisogno artificiale l’hanno creato loro.

un pò come dire che 50anni fa tutti nella propria cascina una volta all’anno sgozzavano il maiale, e si rendevano benissimo conto di quanta sofferenza dolore sangue sudore comporti uccidere una bestia per mangiarla, e invece oggi la carne la trovi sul bancone, e puoi tranquillamente pensare che cresca sugli alberi.

provate adesso a sgozzare un maiale con le vostre mani. ad ascoltarlo piangere e strillare. a travasare il sangue caldo col mestolo. se non l’avete imparato da piccoli, è difficile che abbiate le palle per farlo.

elezioni? non nel mio nome

come mi ero ripromesso, non ho votato.

e non è che sia stato facile: mi ha lasciato comunque l’amaro in bocca. come le ultime volte che invece ci sono andato, ma di un sapore diverso.

si è trattato di lasciare andare l’illusione della democrazia rappresentativa. l’appartenenza alla categoria, e alla conseguente comunità, di quanti si riconoscono in questo patto sociale. rinunciare all’illusione di essere titolare di una parte del potere in quanto cittadino-che-imbuca-la-scheda. riconoscere uno strumento come inadatto allo scopo. e dopo rendersi conto di quanto poco rimanga.

e ancora, prendere atto di quanto sia diffusa la fede nella democrazia rappresentativa. perché di religione si tratta: di un gruppo a cui sono stato iscritto per essere nato in un certo luogo da genitori autoctoni. non per merito e non per mia scelta. una appartenenza che si pretende non possa essere messa in discussione: ho la libertà di votare per questo o per quello, o persino di candidarmi, ma non di non riconoscere il potere di che su questa scelta sostiene di fondarsi. certo è un passo avanti rispetto alla monarchia, ma non mi basta.

questo potere poi lo riconosco, ma per senso della misura e per praticità, perché esercita ancora un parziale monopolio della forza, perché gestisce un sistema burocratico di cui sono ancora abbondantemente utente.

la "democrazia" è sempre di più un’imposizione, una gabbia.

e in quanto tale prima o poi andrà stretta.

un’elezione triste. per un voto modesto. one more.

È tempo di elezioni.
Tempo di amici che si candidano e ti chiedono di farlo.
O almeno di firmare per la loro lista.

Io, non vedo perché dirgli di si.
Non a questo o a quello, proprio al giochino della rappresentanza.

Non ci credo. non credo che la macchina della democrazia formale funzioni secondo le specifiche.
Men che meno secondo i requisiti.

È sotto gli occhi di tutti il funzionamento della macchina amministrativa nella sua materialità, fatto di programmatica assenza di stile, di linguaggi escludenti e soprattutto brutti, di mancanza financo del paravento di un’etica pubblica. E quindi di spregio delle regole, abuso di potere, clientelismo, tempo perso in discussioni che con grandissimo impegno evitano l’argomento…

Ma questo potete andare a farvelo spiegare da Travaglio. È tutta la vita che lo fa, avrà pur imparato qualcosa!

Il problema è un pò più grosso, è che non credo.
Non credo nei requisiti, nel patto sociale, nella convivenza, nella cessione di sempre più libertà in cambio di un molesto quieto vivere. Nel sublimare il desiderio di piacere in consumo e quello di libertà in voti associazionismo volontariato attivismo ribellismo.

No, questa non è una critica costruttiva.

"Critica costuttiva" è un eufemismo. Significa che accetti e riconosci il quadro concettuale ed ideologico in cui si svolge la discussione. In politica lo chiamano "riformismo", socialdemocrazia. O anche "combattere il sistema dall’interno". Percui non mi preoccupo troppo della sorte dei critici costruttivi.

 

Poi anch’io non mi smuovo, non ancora, dal mio sofà borghese, pratico solo una frazione di quello che dico e penso.

Ma almeno mi astengo dal riconoscere un patto sociale nel quale penso non ci siano possibilità. E fortemente sogno di andarmene.