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una stereotipa contraddizione tra sentimento e ragione

odio quando il popolo si fa folla festante accumunata dall’unico sentore
di ascella dentro maglietta sintetica a colori nazionali. o di club.
di troppa birra bevuta o rovesciata addosso
cioè, i mondiali, i campionati le coppe e le coppette.

odio la nazione e tutto ciò che ne deriva, i clacson le bandiere le sciarpe i gagliardetti, il calcio da guardare, la tivù, il geniale cortocircuito "forzaitalia", quelli di sinistra che tifano facendo gli intellettuali o i ggiovani, quelli di destra (quasi sempre), i caroselli in auto con i culi (molli) a cavallo delle portiere, occasioni di piccoli regolamenti di conti etnici, le piccole guerre tra poveri a colpi di calciatori strapagati, la fede in una squadra, che la odio come qualsiasi fede, il substrato su cui viene coltivati i neofascisti… insomma, un pò tutto stò baraccone lo odio. la massificazione dell’individuo, la perdita di stile e di ritegno, la distrazione collettiva

uno dei peggiori modi di rubare tempo al proprio datore di lavoro, anche

eppure, quando poi sono tutti fuori a festeggiare ubriacare abbracciarsi, magari anche tra gente che per un motivo o per l’altro di solito di guardano in cagnesco, la sensazione di pancia non è mica male. che poi delle volte ci scappa anche qualche allegro vandalismo non del tutto inutile.

bah, sono strani questi umani!

peloso lutto nazionale

muoiono gli ennesimi due "nostri ragazzi" in afghanistan.

vittime di un attentato.
di guerriglia.
della resistenza di una popolazione occupata.
del fondamentalismo religioso, che è un gioco che viene meglio in due.

del petrolio.
di tutte le volte che ho preso la macchina e potevo anche no.

di chi ha giocato all’apprendista stregone manipolando un mondo complesso come fosse il cortile di una fattoria in texas.

delle resistibili ambizioni filoimperiali di un ducetto da operetta.

dell’inadeguatezza di un veicolo bllindato di fronte all’escalation degli esplosivi fatti in casa.
del pensiero magico di chi continua a pensare che sia abbastanza per mandarci dentro una persona a farsi sparare addosso.
di chi ci avrà immancabilmente mangiato sopra.
di qualche decisione tattica infelice.

degli zerozerosette che io l’avevo detto che.

della loro stessa ingenuità, dell’essersi fidati delle promesse dello stato.
dello spirito di corpo.

di un rischio calcolato, se torno mi sistemo.
della mancanza di alternative meno pericolose per portare a casa la pagnotta.
di una pagnotta che magari c’era anche ma non era abbastanza profumata.
di chi li ha convinti di aver bisogno della pagnotta profumata al punto da andare in capo al mondo a fare il bersaglio.

della retorica della guerra umanitaria.
di chi incassa qualche voto modesto smerciando la paura del nemico e la retorica dell’eroe.
di loro sono cattivi e noi invece andiamo in giro a piantare
violette.
della patria della missione della libertà
di quella cosa che chiamano libertà ma che si ottiene con i fucili.

anzi, non la si ottiene mai, perché ci sono sempre altri fucili da vendere.

e su tutto questo cala il peloso velo del lutto nazionale.

più chiaro di così

manganelli, un nome che sembra preso da una commedia didascalica, stavolta ce la dice proprio chiaro: il fatto che i poliziotti in servizio allo stadio abbiano preso un ragazzo che passava di lì per caso, lo abbiano menato senza motivo causando danni permanenti, e poi altrettanto gratuitamente arrestato, è un "eccesso fisiologico".

non un inaccettabile abuso della forza pubblica, non un evento che mette in discussione la fiducia che, volenti o nolenti, dobbiamo riporre in chi di questa  forza amministra il monopolio. nemmeno un forte elemento di dubbio sull’equilibrio emotivo delle persone che per lavoro amministrano la forza dello stato. 

e va bene che questa volta il pestaggio è stato visto da diversi testimoni, filmato e prontamente diffuso in tivù, sennò poteva essere solo un altro drogato malnutrito.

c’è chi si scandalizza per la questa dichiarazione, ma sbaglia. manganelli ha ragione, come ben sappiamo: le forze dell’ordine
fisiologicamente abusano del monopolio della forza di cui sono titolari. la
novità è il candore con cui manganelli lo dichiara, per il quale in fondo
dobbiamo solo ringraziarlo.

la violenza illegale dei corpi dello
stato viene molto comoda quando c’è da "dare una lezione"
all’indesiderato di turno, che sia migrante, zingaro, piccolo
spacciatore, prostituta, nogglobal, valsusino, giornalista scomodo,
operaio o che altro.

perché se venissero applicate le regole
dello "stato di diritto" come sono scritte sulla carta, ci sarebbero
troppi rompicoglioni titolari di diritti in circolazione a disturbare il
manovratore.


posso anche condividere l’indignazione, ma forse è ora di
scendere dal pero e smetterla di chiedere gentilmente allo stato di
rispettare i diritti che sostiene di garantire ai cittadini anche quando non gli fa comodo.

ovvero, anche se nessuno ce l’ha chiesto, abbiamo sottoscritto un patto sociale, secondo il quale solo lo stato può usare la forza, ma in compenso lo può fare solo secondo certe regole. solo che adesso lo stato ha in mano tutta la forza, e non si capisce per quale ragione dovrebbe rispettare il patto se non gli conviene.

ah, dimenticavo una cosa: quelle "regole" a cui lo stato dovrebbe essere soggetto in teoria dovrebbero essere decise dai cittadini. ma anche questo è un patto che stà solo sulla carta, e che non si capisce in base a quale magia lo stato dovrebbe rispettare.

sono contento di essere dove sono

perché non ci si guadagna nulla a fare diversamente.

perché mi consente di essere nella consapevolezza del luogo, del tempo, dell’ambiente e delle cose che succedono, invece che proiettato in un qualche altrove, con il broncio di chi vorrebbe essere da qualche altra parte.

e quindi di agire sull’esistente, e se proprio va bene avverare la profezia.

come dire, il guerrilla gardening meglio che lo fai vicino a casa tua

consapevolezza collettiva

la guzzanti scopre il gioco della shock economy del terremoto. per chi ne avesse ancora bisogno.

il ministro della cultura sandrobondi (e già questo ruolo la dice tutta sullo stato della simulazione di democrazia in italia) la prende male e diserta platealmente il festival. ne segue la rituale pioggia di critiche, che tradisce il timore di ulteriori tagli alle sovvenzioni di cui campano molti operatori culturali, il cui personaggio è di non essere allineati alle politiche del governo. cioè di una parte di quanti interpretano "l’opposizione".

 

fa parte della simulazione di libertà in cui viviamo, che un tot di
critica sia permessa e financo foraggiata.

se non fosse per
altro, perché un intellettuale critico sul libro paga dello stato col
tempo diventa dipendente e si ammorbidisce, e gli si può tirare le
briglie quando serve.
e perché, tirando le briglie a lui, si indurisce il morso di quelli che contano su di lui per non vergognarsi troppo di
essere italiani.

l’assenza di bondi significa un’occasione
di imbarazzo in meno per chi partecipa al festival. ma anche – o almeno così pare la leggano gli interessati – che la
seppur falsa libertà di espressione consentita dai finanziamenti
statali alla cultura non è più così necessaria.

perché gli
itagliani non hanno più bisogno che gli si faccia credere di essere un
pò liberi, hanno preso atto che non lo sono.

a molti va bene, a molti
altri no, ma non ha più senso pagare per la simulazione.

legalità all’italiana

la legalità formale è un patto sociale (fittizio): "ci mettiamo tutti d’accordo per giocare secondo le stesse regole".

il patto è fittizio perché nessuno ha avuto la possibilità di decidere se firmarlo o meno: visto che esistiamo su un certo territorio si presume che tutti aderiamo a questo patto.

eppure da questa finzione derivano punizioni concrete a chi sgarra. talvolta.

molti comunque accettano la finzione, e si aspettano che gli altri facciano altrettanto.

poi nella realtà il funzionamento concreto della macchina della giustizia formale è diverso da quello che ti raccontano a scuola: la giustizia è influenzata dalla classe (accesso a buoni tecnici che sanno manipolare la macchina), al caso (molti reati vengono di fatto repressi solo "a campione", vedi alla voce "illegalità diffusa"), dalle amicizie e dai poteri che possono influenzare gli operatori. e questo succede un pò dovunque si racconti la favoletta bella della legalità formale.

in italia c’è poi un particolare genius loci, che spinge a non prendere troppo sul serio la legge, a considerare socialmente accettabile aprofittare dell’occasione quando sistematicamente non viene applicata (solo per fare qualche esempio: evasione fiscale, droghe leggere, guida in stato di ebrezza, rifiuto del lavoro, truffe al pubblico, presenza indebita di simboli e pratiche religiose nello spazio pubblico).

questo è lo stato della legalità formale. in italia.

eppure c’è chi ci crede, chi si inventa i modi più buffi per sfruttare a vantaggio di una qualche idea di "bene pubblico" la macchina formale della giustizia. sdoganando ulteriori "elasticità" nell’interpretazione delle norme. ma pretendendo di restare all’interno del confine, sempre più sbragato, della "legalità".

senza rendersi conto che la disaffezione ed il disincanto verso le regole della legalità formale è tanto profonda che l’attuale incarnazione del patto sociale, la repubblica del 1948, è considerata da molti fondata sulla resistenza, ovvero un movimento di persone che si sono armate e hanno combattuto contro la legalità formale allora vigente.

con il risultato di rilegittimare una macchina della giustizia formale che supportasse gli stessi interessi materiali che avevano portato al collasso della precedente.

e poi venite a chiedermi di votare un referendum???

felicità individuale adesso o riproduzione della specie?

le news UAAR segnalano una ricerca che cerca di spiegare le organizzazioni sociali in termini evoluzionistici (i padri procacciano cibo per i figli della loro famiglia in quanto loro figli biologici, quindi devono in qualche modo controllare che le femmine non abbiano figli con altri. un modello familiare monogamico semplificherebbe questa funzione. e per questa ragione verrebbe spinto dalle religioni).

in questo articolo si parte dall’assunto che l’obiettivo sia la prosecuzione della specie (e della linea genetica individuale di ciascuno), cioè che la forza che guida l’evoluzione diventi o debba diventare pari pari la motivazione delle scelte individuali.

però quando si parla di istinti, bisogna tenere conto che questi non cascano dal cielo, ma sono – sempre nell’ottica evoluzionista di cui sopra – il portato di una selezione il cui obiettivo è la prosecuzione della specie, non la felicità degli individui. cioè, gli esseri umani hanno cablati gli istinti a riprodursi e a curare la prole perché questo si è dimostrato il meccanismo migliore per garantire la prosecuzione di una specie che si organizza secondo modelli sociali sempre più complessi, e i cui individui sono sempre meno adatti a sopravvivere autonomamente in un ambiente naturale non antropizzato. la "felicità" che può (non necessariamente) dare una famiglia rientra solo come un meccanismo per rafforzare questi istinti, non è gratuita.

questo non toglie che gli istinti agiscano, per quanto uno possa essere conscio della loro origine, dargli una spiegazione scientifica invece che pensare che siano infusi da qualche amico immaginario per fini oscuri. e con questi istinti, con l’impatto che hanno sulla felicità individuale adesso, bisogna anche farci i conti. 

però si può cominciare a sfrondarli della loro cornice ideologica. ad esempio: molti si trovano ad accudire un bambino che non è loro figlio biologico, tuttavia riescono a soddisfare onestamente sia i bisogni del figlio che il proprio istinto di genitorialità, e già questo esce dalla stretta "legge naturale" della prosecuzione della propria linea genetica.

l’individuo può allora chiedersi: ma io debbo per forza identificarmi come membro della mia specie, e quindi sentirmi obbligato a recitare la parte che mi viene imposta dagli istinti che mi ritrovo cablati per la sopravvivenza della specie, e – anche peggio – dalle sovrastrutture culturali che ci sono cresciute sopra, o posso cercare la mia felicità adesso?

ovvero può chiedersi: ma a me, adesso, quanto me ne frega della prosecuzione della mia linea genetica? quanto me ne frega della sopravvivenza della specie? quanto me ne frega della prosecuzione della cultura in cui sono immerso?

compagni che sbagliano

dopo averla tanto repressa, riaffiora il mio lato "maestrina dalla penna rossa"

succede quando leggo dal manuale di internet ad uso dei giovani terroristi (un documento tanto pericoloso da essere stato generosamente ripubblicato da tutta la stampa del nuovo ordine mondiale):

Supponiamo che il compagno A si sia fatto fregare la chiave pubblica
del compagno B: B potrebbe ricevere un messaggio che dice: "vediamoci
nel tal posto alla tal ora". B vede che il messaggio è cifrato
correttamente e va all’appuntamento e si fa pigliare»

eh??? firmi il messaggio per B con la chiave pubblica di B???
ma come! non sapete nemmeno leggere un manuale e volete fare la rivoluzione?

mani sui banchi e ginocchia sui ceci!

e adesso ripassiamo: "la mia chiave privata serve a poter leggere i messaggi destinati a me e a firmare i messaggi che scrivo io. quindi devo custodire gelosamente la mia chiave privata. non devo conservarla sul disco del piccì che mi possono sequestrare, e soprattutto deve essere protetta da una buona passphase. se venisse compromessa, i nemici della rivoluzione potrebbero leggere i dispacci diretti a me, e mandare dispacci ai miei compagni fingendo di essere me. devo custodire anche la chiave pubblica dei compagni, perché mi serve per criptare i messaggi per loro e per verificare la firma dei loro messaggi, ma se venisse compromessa la chiave del compagno B la segretezza dei messaggi verso di lui e la validità dei messaggi firmati da lui non sarebbero a rischio. però devo assicurarmi che qualcuno non manometta la copia della chiave pubblica dei compagni che uso, altrimenti potrebbe imbrogliarmi e fingere di essere il compagno B."

troppo complicato? allora forse è meglio che non usi internett per scambiarti messaggi rivoluzionari.

e questo da solo dovrebbe bastare a non prendere sul serio la storia delle nuove bierre. 

io ODIO le religioni! loud&proud

Leggevo una discussione a proposito della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sui crocifissi in classe (aproposito: di nuovo dobbiamo aspettare gli euroburocrati. così vanno le cose, ancora).

tutti, a partire dal marito della ricorrente, a dire "Non mi sento offeso, ma discri­minato" (dai crocefissi in classe).

 

un attimo, veramente io mi sento
offeso dai simboli religiosi nei luoghi pubblici. e questo perché, come
gran parte degli atei “arrabbiati”, di quelli che non se la vivono
troppo serenamente, sono un ex-cattolico.

– “ciao, mi chiamo HCE e sono un ex cattolico”
– “ciaaaao HCE”

e in quanto tale ho l’impressione di essere stato pesantemente
fregato, perché ho subito i condizionamenti di una religione della
sofferenza, perché sono stato abituato a pensare che se ci godevo c’era
qualcosa che non andava. o a provarci gusto perché trasgredivo queste
imposizioni e non per il piacere che provavo. sono stato abituato a
rapportarmi ad un mondo inventato di amici immaginari e non alla
realtà. e di conseguenza sono incazzato.

mi sento offeso perché i crocefissi sono il simbolo dell’occupazione
di un paese da parte della chiesa e delle sue pecore, occupazione che
ha una serie di effetti nefasti sulla vita civile e sulla mia in
particolare. e di conseguenza sono incazzato.

sulla moralità delle persone con cui ho a che fare, abituate a
scaricare le responsabilità delle loro minchiate sul loro amico
immaginario, e a farsi passare ogni rimorso con una confessione.

sulla dilagante ipocrisia che trovo nelle persone con cui ho a che
fare. sull’atteggiamento schizofrenico rispetto al sesso ed ai
comportamenti. sulla mancanza di libertà sessuale nella testa delle
persone (presenti inclusi), e nel malessere che ne deriva. e di
conseguenza sono incazzato.

sui diritti che vengono negati a tutti i cittadini e su quelli che
vengono negati solo ad alcuni, perché se i diritti non sono per tutti
non sono per nessuno. perché se oggi è socialmente accettabile negare i
diritti a gay, domani lo sarà negarli agli atei. o a chi non è sposato.
o a chi non ha figli. e di conseguenza sono incazzato.

su tutta l’arte e la scienza di cui non ho potuto godere, o con
difficoltà e magari di nascosto, o sentendomi colpevole, perché qualche represso in
sottana aveva deciso al posto mio. e di conseguenza sono incazzato.

e tutta stà roba mi prude non poco.

su queste premesse, essere rabbiosamente anticlericali è una
reazione sana. e non penso sia opportuno nascondersi. neanche a
beneficio della notoria difficoltà di comprensione della lingua da
parte degli operatori della stampa itagliana, soprattutto quando si
mette in discussione la tara costituita dalle “radici cristiane” della
nostra società.

– “ciao, io sono HCE e ODIO la religione cattolica. e ne sono fiero!”

metatassonomia

ci sono decisioni che prendi tu e altre che qualcuno prende per te.

ci sono decisioni prese di cui sei conscio e altre di cui no, e dai le cose per scontate. e certe volte prima o poi te ne rendi conto che non erano scontate e certe volte no.

ciascuna decisione ha un costo, che di solito è una variabile casuale, un rischio. c’è delle volte che lo accetti e delle volte che no. e qualunque decisione prendi, c’è delle volte che ti va bene e delle volte che no. e delle volte che non lo sai, perché la storia non si fà con i se. non più di tanto, almeno.

c’è delle volte che riconosci gli effetti delle decisioni che tu o altri avete preso e delle volte che no.

c’è delle volte in cui non ti rendi conto dell’importanza della
decisione che stai prendendo e delle volte che la sopravvaluti. e
magari poi lo capisci e magari no.

c’è delle volte che sopravvaluti l’effetto delle decisioni che hai preso, il tuo potere sul mondo, e delle volte che lo sottovaluti.

c’è delle volte che decidi razionalmente, o guidato dall’istinto, o dalla paura, o dalla pigrizia, o sotto costrizione.

c’è delle volte che riconosci a te stesso che hai preso una decisione e delle volte che lo neghi.

c’è delle volte che lo dici alle persone che hai preso una decisione e delle volte che lo neghi.

 

e intanto la vita ti scorre addosso, come i sassi all’acqua