[trad] la natura del lavoro è di essere forzato

da indymedia Grenoble

Martedì 31 Maggio 2011, di Anonimo

Passeggiando per Grenoble nel weekend, si può constatare come le vetrine di diverse agenzie di lavoro temporaneo siano state generosamente ricoperte di manifesti contro il lavoro. In particolare, l’Agenzia Crit vicino al Liceo Mounier, la Randstad nel quartiere della Capouche (che notoriamente fanno i soldi col lavoro dei sans-papier), l’agenzia del Tridente nel quartiere Saint Bruno, l’agenzia Synergie in Cours Berriat e il polo d’impiego vicino a Alsace Lorraine. Quest’ultimo era già stato coperto di scritte come “non me ne faccio niente di un mondo in cui la garanzia di non morire di fame si paga col rischio di morire di noia”, “meglio disoccupata che controllora”, “morte al lavoro”, “bim bam bum”.

A seguire, una parte dei testi presenti sui manifesti.

Produci, consuma, crepa! Tre parole che riassumono perfettamente il male della nostra società, e che eppure siamo chiamati a glorificare. L’ideologia del lavoro ha denti lunghi, e ci chiama a gestire ogni giorno la nostra vita sulla base della miseria salariale. Vivere, avendo come massima speranza il poter rosicchiare qualche osso alla fine del mese, è CAPITALE! Dal primo mattino, da quando la sveglia ci scaccia dai nostri sogni, il denaro è la sola carota che ci spinge verso una nuova giornata di umiliazione. Bisognerebbe rendersi produttivi per il mondo degli affari, e continuare a gestire la nostra piccola vita sulla base dei bisogni che ci sono stati attribuiti. Questo ci permetterà di socializzare, ottenere un prestito per la nostra abitazione, occupare le nostre giornate, fare conversazione in famiglia. Cose che sembrerebbero impossibili  senza un lavoro. E non importa quanto questo lavoro sia abbruttente, umiliante, ripetitivo, inutile, ingiusto… basta che paghi, perché questa è la sua natura. Lavorare per lavorare, senza più percepire il senso del proprio lavoro, ormai è moneta corrente. Il valore-lavoro opprime i lavoratori/lavoratrici, e quelli e anche quelle che non lavorano, per quanto è diventato la norma a cui attenersi per essere riconosciuto in seno alla collettività. Da cui saranno banditi quelli e quelle che non danno il loro contributo, i “profittatori” e le “profittatrici”. E questo vale anche se, per quelli e quelli che hanno pescato le carte sbagliate (razziali, sessuali e altre…), che hanno chiuso loro le porte del meraviglioso mondo del lavoro, il gioco è chiuso in partenza. Sarebbe stupido glorificare un’epoca passata in cui il lavoro sarebbe stato – così dicono – più piacevole. Ma è giocoforza constatare che le ragioni che ci spingono ad metterci in attività hanno perduto di interesse in questa società post industriale. L’individuo non ha nemmeno più la possibilità di realizzarsi attraverso sue opere, gli si chiede solo di essere noleggiabile. Lavorare di più per consumare di più, consumare di più e quindi lavorare di più. È difficile uscire da questo cerchio. L’insostenibile è diventato tollerabile a forza di beni di consumo in abbondanza. Ci si rovina la vita a lavorare di più perché bisogna rovinarsi a consumare beni, divertimenti, cultura, vacanze, auto, oggetti multimediali e relazioni di ogni genere. E se per per disgrazia non ci conformiamo all’universo salariato, siamo minacciati dal pericolo di vivere per strada. O anche dal pericolo della galera, per quelli che avranno l’audacia di sfidare il mondo mercantile. Morire sul lavoro è ancora uno dei modi più frequenti di. Per quanto i lavori più estenuanti e degradanti siano spesso affidati ai lavoratori e alle lavoratrici stranieri, con o senza documenti, qui o in altri luoghi, sono molti quelli che rimangono ancora legati ai compiti più abbietti. Il progresso, che doveva portarci del tempo libero, ha invece permesso l’apertura di nuovi mercati, spingendo ogni volta un poco più lontano il limite tra quelli che vivono nell’agio e quelli che hanno le mani nella merda. E quando il lavoro non ti ammazza di fatica e di sudore, ammazza di noia quelli e quelle che fingono di entrare nello stampo aspettando che suoni la campanella. Perché, più che la sofferenza fisica, è l’essere morale che è maggiormente colpito. Quello che è spossessato ogni giorno dei suoi sogni, dei suoi desideri e delle sue scelte, e che morirà senza aver gustato il sapore della vita e della crescita.

Per tutte queste ragioni, noi saremo sempre contro il lavoro imposto dai dominanti, il lavoro abbruttente, il lavoro degli esclusi, il lavoro alienante, il lavoro di distruzione di se e degli altri, il lavoro produttivista, il lavoro gerarchizzato… e non smetteremo di lottare per una attività non di mercato, utile al “bene comune” e non al profitto di quelli che cercano soddisfazione a spese di questo stesso “bene comune”