E mi riempio di languore.
rievocando promesse che non sono state fatte.
che mi farebbero paura se.
che le
che poi non
meglio che
paura tanto da fare che non.
Che le lascio scivolare via nel tardo meridiano.
Mi scaldano ma senza brivido
senza sostanza
né durata
che non è difficile, senza cozzare a occhi incapaci contro la realtà.
Che non, senza navigare nell’incertezza.
E tanto questo cielo è bellissimo lo stesso. Anche immaginando che sei qui. E che sai fermarti a guardarlo e respirare la mia vibrazione. Come io quante volte ho respirato la tua. Quante lo farei.
Quante ancora potrò.
Quante mi chiederò se non sia abbastanza.
Di andare a senso unico.
Perché io se sono così sono tanto bello. E forse non deve andare sprecato.
Perché non è l’amare che importa, ma come l’amare ci rende.
Come ci rende.
Come ci tende.
Come ci spende.
Che poi
ne hai sempre ancora.
Ma solo se ti spendi.
Se.
E poi in fondo è sempre di me che mi innamoro.
cerco solo una musa che sappia tenere il ruolo.
Ed è tutto un lasciarsi guidare. Dirigere.
Un prestarsi ad una parte.
Reciproco. Ma non a turno.
La magia rara è farlo nello stesso tempo.
A dirselo
non sarebbe neppure una cattiveria.
Ma a dirselo rovina tutta la poesia del teatro.
Ed è di nuovo vertigine di incertezza.
Che se io amo e tu no. sono io che mi prendo la parte migliore.
2 settembre 2011. tabacalera. cortile posteriore. sedie da cinema.