chiomonte suona come genova. ma il retrogusto è più saporito

è molto simile la sensazione soggettiva di forza e di vulnerabilità che entrambe lasciano. e la conseguente vertigine.

la vulnerabilità: in entrambi i casi sono stato toccato solo da lontano dal rischio di subire la violenza dello stato. sono stato contaminato solo marginalmente dalle sue armi chimiche. in parte grazie a scelte caute e compagni di viaggio attenti, in parte per puro caso. ma questo non mi ha impedito di subire l’effetto psicologico della prova di forza. “guarda che la tua tranquilla vita borghese, l’integrità fisica del corpo, la dignità, la possibilità di frequentare il circolo di persone che ti fanno sentire bene, la libertà di movimento ed i tuoi beni materiali, sono cose che potremmo anche toglierti.” e non sai mai bene quale sia la soglia che non devi superare perché ciò non succeda, perché c’è un grosso elemento di casualità nella scelta di chi viene colpito. vedi alla voce “illegalità di massa”. spiega tante cose di questo paese.

la forza: la resistenza alla TaV ha espresso una forza non indifferente sul terreno della dimostrazione di forza pre-militare. tanti tabù devono ancora essere infranti – da entrambe le parti – prima di poterlo considerare semplicemente uno scontro militare, ma ci si sta prendendo le misure.
da parte nostra, si vede che la forza che lo stato può permettersi di esercitare non è infinita. può essere combattuta. ma farlo non è gratis. bisogna metterci tempo, paura, feriti, salute, conseguenze legali. in fondo è una questione di budget: ad un certo punto si renderanno conto di aver speso troppo in ordine pubblico e rinunceranno. o meglio, si renderanno conto di aver fatto girare abbastanza l’economia a forza di paghe dei mercenari, benzina per gli elicotteri, lacrimogeni, marchette per i media di regime.
la differenza è che questa volta il gioco di dividere i buoni e i cattivi non sta funzionando. non tra i valligiani, non tra chi non sia dipendente dalla televisione e dalla stampa. “non c’erano gli infiltrati venuti da marte sui boschi di Ramats, c’eravamo noi. siamo tutti black block”. il rifiuto di soccombere alla violenza dello stato viene rivendicato apertamente. e non da piccoli gruppi che ne fanno il loro sport preferito. da una popolazione intera. il metodo genova non sta funzionando.

di pari passo il rifiuto, forse anche più importante, di dare peso alla rappresentazione di comodo fornita dai media di regime, la preferenza alla comunicazione orizzontale ed alla raccolta autogestita di notizie. e guarda caso proprio in questo periodo si intensificano gli attacchi alla libertà di espressione in rete, il tentativo di sussumere anche questo canale prima che troppa parte della popolazione si abitui a non mediare la propria informazione.

e ancora la consapevolezza diffusa che la rappresentanza elettorale ha perso ogni capacità di mediazione, è diventata pura cinghia di trasmissione dei progetti di una imprenditorialità mafiosa. che il PD è un’esperienza politica mai nata, e – parlandone provvisoriamente da vivo – va annoverato senza troppe discussioni tra le destre. che persino SEL, quando si mette in discussione il monopolio statale della forza, rientra nei ranghi “democratici”. che non c’è più un bertinotti da cui aspettarsi una sponda politica. o meglio, che non c’era mai stato. solo che stavolta non si perde tempo ed energie ad aspettarlo come interessato deus ex machina.

e ora il gioco è di nuovo lascia (lasciar insabbiare il progetto) o raddoppia (intensificare la militarlizzazione della valle).