e ora non è più, facciamocene una ragione.
La resistenza è stata un processo che ha lasciato degli effetti. Il processo era splendido e terribile, come tutte le fasi rivoluzionarie. Un momento in cui si poteva anche pronunciare la parola “patria” senza ridersi addosso. Una fase in cui si lottava, si era costretti a, per espandere le proprie libertà.
Gli effetti è più complicato: prendiamo ad esempio quella che viene venduta come l’eredità più preziosa, una sudata carta chiamata “costituzione”.
Eppure sappiamo bene che, una volta esaurita la fase “rivoluzionaria” della resistenza, altre forze sono subito entrate in azione per svuotare di qualsiasi contenuto quella cosa chiamata “democrazia”. E sempre più sono state lasciate fare. Tanto che, se mai c’è stata in italia una cosa chiamata democrazia che valesse la pena di difendere, oggi quei tempi sono passati da molto.
E allora la costituzione era una bella promessa, che come era prevedibile non è poi stata mantenuta. Come di norma accade alle promesse fatte da chi non ha interesse ne coercizione a mantenerle. Ed questo dovrebbe offendere la memoria di chi ha lottato per conquistarla. Non certo il guardare con occhio disincantato la decomposizione che intacca la facciata democratica di questo paese. Non certo il chiamare le cose col proprio nome.
E uno si chiede che senso abbia continuare ad aggrapparsi ad una etichetta di democrazia che manco finge di nascondere una ben diversa gestione del potere. E prova frustrazione perché difendere conquiste vecchie di sessant’anni, o meglio rallentare la loro erosione, non è neanche lontanamente confrontabile con il lottare e conquistarsi qualcosa nel presente. Essere parte di un processo rispetto al tentare di conservarne i frutti.
E no, non si può tenere in cascina una conquista all’infinito. Va utilizzata finché vale qualcosa. E poi tocca dirselo, che ormai vale così poco, e forse è ora di essere di nuovo parte di un processo.