da circa un mese sono affetto da sindrome della ruota fissa. la si può contrarre provando una bicicletta priva si scatto libero, ovvero in cui i pedali girano sempre solidali alla ruota posteriore. le categorie a rischio sono ciclisti da pista, fighetti urbani alternativi, cicloattivisti radicali, ciclomeccanici, edonisti cinematici, corrieri in bicicletta e altre creature simili. il contagio porta spesso la vittima ad appartenere ad altre categorie a rischio.
mi sono infettando dopo aver convertito la mia vecchia bici “da strada”, montando una nuova ruota già fatta e togliendo alcuni pezzi che erano diventati inutili.
dopo un breve e rischioso periodo di adattamento, ti sembra di aver sempre pedalato in questo modo.
rispetto a prima, la differenza è non tanto quando pedali ma quando non lo fai: i pedali vengono trascinati dalla tua stessa inerzia e ti spingono i piedi in alto da dietro. all’inizio è spiazzante, ma poi capisci che, opponendoti gradualmente a questa spinta, puoi frenare. usi la stessa interfaccia per aggiungere e per togliere energia cinetica al tuo mezzo. il freno, questa inelegante dispersione di calore e materiali di consumo, diventa subito un oggetto il cui uso è disdicevole, da riservare alle emergenze. anzi, ogni volta che lo devi usare ti rendi conto di aver sbagliato qualcosa.
infatti cambia anche lo stile di guida: cerchi di mantenere una velocità più uniforme possibile. nel traffico urbano, questo significa prestare attenzione totale a quanto ti succede intorno, per essere in grado di anticipare la posizione di tutti i veicoli con cui dovrai condividere lo spazio tra 10, 50, 200 metri. e questo ti porta a percepire di più te stesso. qui stà il vero valore della ruota fissa.
e questo porta PIACERE. una indescrivibile sensazione di naturalezza nello spostarti velocemente ma senza aggressività. contatto con gli altri esseri umani, soprattutto i meno fortunati che sono rinchiusi in una scatola su quattro ruote. che sono nemici, perché nella loro depauperazione percettiva e motoria guidano in modo pericoloso e soprattutto irrispettoso (senza contare le conseguenze ambientali). ma sono anche esseri umani come te, solo meno fortunati. e questo lo capisci soprattutto quando come me sei ancora costretto ad usare l’auto di quando in quando. da qui il passo verso il proselitismo più o meno aggressivo è estremamente breve.
Cambia anche che riconosco e riesco a dirmi il non piacere di essere in auto.
Questa scatola infarcita di pezzi inutili, che determina una cinematica sgradevole. Una totale disconnessione tra interfaccia e le forze in gioco. Che poi comunque il corpo subisce. Un perfetto strumento di alienazione e disedonismo. Un oggetto che ridefinisce i tuoi confini, rendendoli rigidi, respingenti e costrittivi. Una corazza, quando è così bello essere tutta pelle.
l’esperienza del bello. un ottimo modo per rendersi conto di quanto sia brutto il brutto.